Le loro storie sono raccolte insieme con molte altre nel libro “Non chiamatemi morbo!”, che ho scritto con Marco Guido Salvi, presidente dell’Associazione italiana Parkinson di Bergamo e vicepresidente nazionale, e con le fotografie di Giovanni Diffidenti. Fra le pagine si trovano i volti e i percorsi di quindici persone alle prese con Mr. Parkinson e due “caregiver”, sapendo che spesso le relazioni di affetto e di cura costituiscono un sostegno essenziale e spesso diventano l’arma migliore per contrastare la malattia: l’amore può dimostrarsi più forte dei farmaci. “Il loro esempio – scrive Giangi Milesi, presidente della Confederazione Parkinson Italia, che ha preso parte fin dall’inizio a questo progetto – infonde il coraggio a non isolarsi, a reagire alla depressione e allo stigma, curandosi e curando la qualità della propria vita”.
Tutte queste testimonianze hanno come filo conduttore “L’unione fa la forza” perché la possibilità di aiutarsi a vicenda, di condividere, di fare squadra dà sempre una marcia in più. A tutti, non solo ai malati.
In una società competitiva e individualista, che lascia spesso ai margini la differenza e la disabilità e tende a esprimere giudizi superficialmente, soprattutto in base ai risultati e ai successi ottenuti, i parkinsoniani con le loro storie offrono uno sguardo diverso sul mondo e sulla vita, portando una lezione importante, che vale per tutti: non conta solo ciò che accade, ma cosa noi ne facciamo, quale direzione diamo al percorso. C’è sempre una scelta: lasciare che la vita ci mandi in pezzi oppure sanare le ferite e rimettere insieme i cocci cementandoli con l’oro, come nell’arte giapponese del kintsugi.
Per la sua sensibilità sociale, Sabrina Penteriani ha ricevuto nel 2019 a Firenze il premio giornalistico “Comunicare la gratuità”.